GI/ma
L’Avvocato mi ha fatto pervenire il fascicolo atti e documenti relativo al giudizio di primo grado tra le parti in oggetto e, letta la documentazione, ai fini di esprimere la mia valutazione ritengo opportuno riassumere brevemente la vicenda nei termini che seguono:
FATTO: il sig. XXX, assumendo essere erede universale in forza del testamento olografo 8/11/xx della sig.ra YYY con atto di citazione 9/12/xx ha richiesto nei confronti del sig. ZZZ accertare e dichiarare che YYY ha trasferito dal suo conto deposito titoli a quello intestato a ZZZ, l’importo complessivo di €. e per l’effetto accertata la proprietà della “de cuius” ed in diritto alla restituzione, nonché la condanna del ZZZ alla restituzione.
In atto di citazione il XXX sosteneva che l’originario trasferimento di denaro al ZZZ si fondava su un mandato di gestione fiduciaria.
Costituendosi in giudizio il ZZZ chiedeva il rigetto delle avversarie domande contestando di aver avuto delega ad operare sui conti della sig.ra YYY e comunque di aver avuto un mandato fiduciario da essa.
Con memoria ex art. 183 u.c. c.p.c. il XXX preso atto delle difese del ZZZ confermava le proprie domande e, producendo gli atti penali che avevano condotto all’archiviazione della querela per l’appropriazione indebita delle somme da parte del ZZZ (con testimonianze delle funzionarie di banca che asserivano essersi trattato di una donazione) chiedeva in via subordinata di accertare e dichiarare la nullità per difetto di forma della donazione, e conseguentemente la condanna alla restituzione.
Dedotte le prove con le rispettive memorie, ex art. 184 c.p.c., il ZZZ, inoltre, in sede di replica, per la prima volta, eccepiva la mancanza di interesse del XXX alle pronunce richieste in quanto non erede a titolo universale ma mero legatario di beni determinati.
Con sentenza il Tribunale di Torino, respinta nel merito la domanda principale del XXX, disattendeva anche la subordinata in quanto formulata solo in sede di memoria ex art. 183 u.c. e come tale “nuova”.
Così ricostruiti i fatti, mi pare che i “punti critici” da risolvere alla luce della sentenza del Tribunale di Torino siano sostanzialmente due:
A) il sig. XXX è effettivamente “erede universale” della sig.ra YYY e, come tale è legittimato all’azione ?
B) la subordinata richiesta di declaratoria di nullità della donazione introdotta con memoria ex art. 183, V° co. c.p.c. è domanda nuova ?
Affrontando separatamente le due questioni che, però, e lo si vedrà, vanno affrontate in stretta correlazione rilevo:
A) il testamento olografo 8/11/02 pubblicato a rogito notaio in data , espressamente recita: “…… nomino erede ed esecutore testamentario XXX ……” e più oltre, “1) Lascio a XXX……….” con l’indicazione specifica di alcuni beni immobili.
Nelle espressioni usate dalla testatrice sembra potersi ravvisare una contraddizione (evidenziata da controparte per la prima volta in sede di replica ex art. 184 c.p.c. con memoria 7/10/05) laddove dapprima il XXX viene indicato quale “erede ed esecutore testamentario”, mentre successivamente, con l’attribuzione di alcuni “determinati” beni immobili, sembra invece essere solo il destinatario di un legato e quindi, come sostiene controparte, “erede a titolo particolare”.
In giurisprudenza (v. da ultima Cass. civ. Sez. Lav. 12 luglio 2001 n. 9467, giust. civ. Mass. 2001, 1383) “Al fine di distinguere tra disposizioni testamentarie a titolo universale –che, indipendentemente dalle espressioni e dalle denominazioni usate dal testatore, sono attributive della qualità di erede- e disposizioni a titolo particolare –che, invece, attribuiscono la sola qualità di legatario- il giudice deve compiere sia una indagine di carattere oggettivo riferita al contenuto dell’atto sia una indagine di carattere soggettivo riferita all’intenzione del testatore. Ne consegue che soltanto in seguito a tali duplici indagini – che sono di competenza del giudice del merito e i cui risultati non sono censurabili in sede di legittimità se congruamente motivati- può stabilirsi se attraverso l’assegnazione di beni determinati il testatore abbia inteso attribuire una quota del proprio patrimonio unitariamente considerato (sicché la successione in esso è a titolo universale) ovvero abbia inteso escludere l’istituzione nell’””universum ius”” (sicché la successione è a titolo di legato)”.
Di primo acchito, proprio per l’espressione usata dalla testatrice nel testamento olografo 8/11/xx riterrei che l’aver indicato il XXX quale “erede ed esecutore testamentario” nell’incipit della relativa scheda, sia chiaramente indicativo della volontà della testatrice di istituirlo “erede universale”, dovendosi interpretare la successiva attribuzione ad esso di alcuni beni immobili determinati come mera elencazione dei cespiti “residuati” dall’attribuzione ad altri soggetti di altri beni immobili a titolo di legato.
E’ inoltre significativo che solo il XXX sia indicato quale “erede” mentre gli altri soggetti solo come destinatari di alcuni beni immobili evidentemente a titolo di legato.
La particolare espressione usata dalla testatrice (“erede”) per il solo XXX e non per gli altri destinatari di “beni determinati” è chiaramente indicativa della consapevolezza della testatrice nell’esprimere la volontà di istituire il primo “erede universale” e gli altri meri legatari.
La questione ha un rilevante interesse al fine di decidere se impugnare la sentenza del Tribunale, o se riproporre in separato giudizio la domanda “nuova” di nullità della donazione per difetto di forma.
Infatti, poiché (Cass. civ. 6/6/88, n. 3805, Giust. civ. Mass. 1988, f. 6) la questione se il XXX “sia o meno erede, risolvendosi nella questione della titolarità, attiva o passiva, del rapporto, non attiene alla legitimatio ad causam, ma al merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio della parte interessata, con l’ulteriore conseguenza che la suddetta questione non può essere rilevata d’ufficio né sollevata per la prima volta in sede di legittimità qualora, decisa, anche solo implicitamente, dal giudice in primo grado, non sia stata proposta in appello, ostandovi la preclusione derivante dal giudicato interno”, l’avversaria eccezione di carenza di interesse per essere il XXX legatario e non erede universale, tardivamente proposta solo in sede di replica ex art. 184 c.p.c. ed implicitamente decisa dal giudice che ha respinto “nel merito” la domanda principale, dovrebbe essere pacificamente respinta anche nel corso di un eventuale appello, mentre potrebbe essere legittimamente riproposta tempestivamente in caso di giudizio “ex novo”, a meno che, in caso di proposizione “ex novo” in altro giudizio (previo passaggio in giudicato della sentenza stessa) non possa sostenersi che la qualità di erede del XXX, debba considerarsi accertata con efficacia di giudicato proprio perché la sentenza affrontando e respingendo nel merito, ma per diversi motivi, la domanda principale, tale lo ha considerato, quantomeno implicitamente.
B) A mente della più recente giurisprudenza (Cass. civ. sez. III°, 12/4/2005, n. 7524, Giust. civ. Mass. 2005, f. 4) “Si ha “”mutatio libelli”” quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un “”petitum”” diverso e più ampio oppure una “”causa petendi”” fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatto costitutivo radicalmente differente, di modo che si ponga un nuovo tema d’indagine e si spostino i termini della controversia, con l’effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo; si ha, invece, semplice emendatio quando si incida sulla “”causa petendi””, sicché risulti modificata soltanto l’interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul “”petitum””, nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere. (In applicazione del suindicato principio, la S.C. ha confermato la sentenza del giudice di merito che, ritenendo non concluso il contratto di locazione in ordine al quale erano in corso trattative e qualificando la domanda –secondo i poteri in proposito spettantegli- come concernente ipotesi di responsabilità precontrattuale, ha ritenuto integrare mera “”emendatio libelli”” la domanda di risarcimento per l’ammontare di lire cinque milioni di lamentati danni da occupazione dell’immobile in aggiunta a quelli conseguenti ad effettuati lavori di modificazione ed adattamento del medesimo, dall’attore formulata in sede di precisazione delle conclusioni, rispetto a quella, risultante dall’atto introduttivo del giudizio, di condanna al pagamento di lire tre milioni, corrispondente ad una mensilità del pattuito canone di locazione, e al risarcimento dei danni causati all’immobile)”.
Alla luce dell’interpretazione della S.C. ora richiamata, posto che “causa petendi” e “petitum” originari (trasferimento del denaro dal conto YYY a quello del professionista con delega alla YYY stessa e richiesta di condanna di restituzione dell’importo) rimangono immutati, è da chiedersi se la domanda di restituzione fondata sulla nullità per difetto di forma dalla donazione, non introduca di fatto “un petitum” diverso e più ampio, oppure una “causa petendi” fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente (fondate n.d.r.) su un fatto costitutivo radicalmente differente.
Ed in effetti la prima domanda di restituzione, quella formulata in atto di citazione, appare “fondata” su due presupposti: 1) la qualità di erede universale del XXX, 2) l’esaurimento per volontà dello stesso del mandato di gestione fiduciaria prospettato all’atto di trasferimento del denaro (e la conseguente restituzione di esso); la seconda, invece, ferma la qualità di erede universale dell’attore, sembra trovare il fondamento in un diverso ed ulteriore “fatto costitutivo”: la nullità del trasferimento stesso del denaro per difetto dei requisiti di forma.
Sviscerata in questi termini la domanda sembrerebbe doversi accedere alla prospettazione di controparte accolta dal Tribunale di “novità” della domanda fondata sulla nullità della donazione.
L’unica controindicazione è che vertendosi in tema di rivendicazione di una somma di denaro di cui l’attore assume in quanto erede essere proprietario, va tenuta presente la diversa prospettazione per cui “I diritti reali si identificano in base alla sola indicazione del loro contenuto (ossia il bene che ne forma l’oggetto) e non in base al titolo che ne costituisce la fonte, onde l’allegazione nel corso del giudizio di rivendicazione, sia in primo grado che in appello, di un titolo diverso (nella specie, contratto) rispetto a quello posto originariamente a fondamento della domanda (nella specie, usucapione) rappresenta soltanto una integrazione delle difese sul piano probatorio, integrazione che non è configurabile come domanda nuova, né come rinunzia alla valutazione del diverso titolo in precedenza dedotto; ne consegue che, decisa la controversia sulla base di uno dei titoli suddetti, non è preclusa al giudice dell’impugnazione la decisione sulla base dell’altro o di entrambi i titoli dedotti, anche se la parte interessata non abbia proposto alcuna specifica doglianza sul punto ed istanza in tal senso, giacchè l’art. 346 c.p.c. attiene alle domande ed eccezioni non accolte nella sentenza appellata e non riproposte in appello, non agli elementi di prova che, acquisiti al giudizio ma pretermessi dal primo giudice, il secondo ritenga, invece, rilevanti al fini dell’esatta definizione della controversia.” (Cass. civ., sez. II, 27/11/99, n. 13270, Giust. civ. Mass. 1999, 2372)
Volendo risolvere il problema alla stregua di tale interpretazione, la diversa prospettazione (proprietà per essere nullo per difetto di forma l’originario atto di trasferimento-donazione) la domanda dovrebbe considerarsi tempestivamente formulata, ed in questo caso buone sarebbero le prospettive dell’impugnazione.
Diversamente, posto che comunque allo stato la domanda di nullità della donazione per difetto di forma è stata respinta non nel merito, ma per ragioni processuali (domanda nuova proposta oltre i termini di cui all’art. 183 c.p.c., III° comma) essa, passata in giudicato la sentenza, potrebbe pacificamente essere riproposta nel merito in diverso giudizio, e con buone possibilità di successo.
Varrebbe anzi la pena di valutare in quest’ultima ipotesi se non proporla con decreto ingiuntivo, lasciando a controparte tutto l’onere di opporsi.
Ringrazio il sig. XXX per la fiducia e ribadisco la mia completa disponibilità a collaborare per il prosieguo della vertenza.
A disposizione per ogni ulteriore chiarimento colgo l’occasione per porgere i più cordiali saluti.
avv. Carlo Boetti Villanis